QUATTRO DOMANDE A GIORGIO TEGLIO
Caro Teglio,
                   
le domande che volevo porti sulla situazione della cultura e, più specificamente, dell’arte contemporanea  a Genova sono queste:
- come si è venuta evolvendo la qualità (e la frequenza) delle iniziative  concernenti l'arte contemporanea nel periodo successivo al 2004?
- la debolezza del comparto, a Genova, dipende dal pubblico, dagli enti e/o dalle istituzioni locali, o dalla rete degli operatori privati? 
- esiste qualche punto di forza su cui far leva, qualche carta da giocare a breve termine, qualche cambiamento strutturale da apportare?
- che tipo di collezionismo c'è a Genova e che peso culturale ha?
In attesa di sentirti, ringrazio e saluto cordialmente
Sandro Ricaldone
Caro  Ricaldone,
                             
comincerei a rispondere dal secondo quesito in cui dai giustamente per scontata "la debolezza del 
comparto" e chiedi quali ne possano essere le cause.
Queste sono, a mio avviso, molteplici.
Anzitutto la mancanza di iniziative private, l'assenza di  "operatori" che, a differenza 
di quanto  avvenne negli anni  60 e 70, siano disposti  a mettersi in gioco, a rischiare, 
in una città dove peraltro il pubblico dell'arte contemporanea è abbastanza limitato.
Allo stato attuale delle cose non vedo  questi "operatori"; mi auguro che ne possano 
sorgere, ma è difficile  oggi fare un'attività di rilievo senza un supporto di 
collezionisti/imprenditori disposti a correre qualche rischio per quel mix di amore  per 
l'arte, di intento speculativo e di finalità di sponsorizzazione che altrove sono 
talora riscontrabili. 
Quanto alle istituzioni locali, la storia recente e meno recente, ci insegna che, salvo 
qualche raro momento, esse sono state assenti.
La riprova di quanto ho detto  la vediamo negli anni  60 e 70 dove la presenza  
dell'Italsider a Genova nata nel 1960, grazie a un manager come Gianlupo Osti, animato da 
uno spirito  olivettiano, ha creato le premesse, con la chiamata di  Carmi e Fedeli, per 
una serie  di iniziative, non solo di innovazione della grafica pubblicitaria ed 
editoriale, ma soprattutto di apertura all'arte internazionale  chiamando a Genova 
importanti artisti e architetti  (vedi Wachsmann) e aprendo ad esempio  le acciaierie a  
grandi scultori  quali David Smith a Voltri, ma anche  Moore, Calder, Colla in altri suoi 
stabilimenti.
La concomitante presenza a Genova di un docente  universitario come  Eugenio Battisti, 
che ha animato e galvanizzato l'ambiente, ha certamente dato  anch'essa coraggio  ai 
privati, e sono nate, ad opera di giovani  intraprendenti, accanto alla Galleria  del 
Deposito, numerose  galleria private  che hanno svolto per un  ventennio circa  
un'attività di rilievo internazionale.
Com'è noto l'Amministrazione è rimasta inerte, anzi ha osteggiato Wachsmann e i suoi 
progetti  per la città.	
Ritengo improbabile, anche per l'enorme cambiamento  avvenuto negli ultimi anni nel mondo 
e nel mercato dell'arte, che un clima del genere  si possa riproporre.
La conclusione è che il  comparto, salvo imprevisti, rimarrà debole almeno nel futuro 
prossimo.
Sulla prima domanda, non parlerei di evoluzione ma di involuzione delle iniziative 
concernenti  l'arte contemporanea dopo il 2004.
Venuti meno i finanziamenti pubblici  per il G8 e per Genova città della cultura, le 
istituzioni  hanno nuovamente ignorato  l'arte contemporanea (ultimo colpo di coda la 
mostra  di Kaprow a Villa Croce).
L'esperienza del passato non fa  bene sperare per il futuro.
Nel privato sono   sorte  nuove gallerie  d'arte  purtroppo quasi tutte di livello  
localistico e/o  meramente  commerciale, alimentando  quella bassa cultura  che, 
purtroppo, riguarda non pochi collezionisti giovani  i quali, salvo le dovute eccezioni,  
hanno una conoscenza  superficiale della storia dell'arte degli ultimi  cinquant'anni e 
si lasciano  spesso influenzare  dal "pressing" di certa critica interessata, e dalla 
perniciosa influenza delle più diffuse  riviste specializzate, sempre più ricche e 
patinate, veicoli di pubblicità anche occulte, da cui è spesso difficile  difendersi.
Circa la possibilità  di ripresa di iniziative  di valore, la risposta  l'ho già data in 
parte rispondendo  alla prima domanda. 
Vorrei essere meno pessimista, ma non vedo molte carte da giocare anche perché 
l'associazionismo  non ha funzionato  se non in qualche raro momento; il pubblico 
genovese è ancora poco preparato  ad accogliere iniziative di rilievo; le recenti 
dichiarazioni degli assessori  alla cultura  di Regione e Provincia sono sibilline e 
talora desolanti (mi riferisco in  quest'ultimo caso  a quelle dell'assessore alla 
Regione  che propone  come clou  per il 2009 una mostra al Ducale  sui manifesti  
dell'ATP);  nel privato nulla di nuovo; ad esempio  una recente Fondazione, come quella 
di Garrone, sembra lontana anni luce da un dibattito  e da proposte di reale  valenza 
culturale sul contemporaneo.
Nella situazione data, le speranze sono concentrate su Villa Croce che potrebbe diventare 
 un centro sempre  più importante  di incontro  e di dibattito tra gli artisti, i 
critici, i collezionisti, il pubblico, se avesse la possibilità, da un lato di creare  le 
strutture per tali incontri (miglioramento del parco, ampliamento dell'edificio, 
creazione di caffetteria) e dall'altro  lato  -ma anche qui ricadiamo nel delicato 
discorso dell'assenza delle istituzioni-  di organizzare eventi  ed esposizioni  di 
richiamo  culturale  utilizzando anche spazi nella città, in primis, il Ducale.
Ma se l'assessore alla Regione indica quale manifestazione clou per il 2009 la mostra, al 
Ducale, dei manifesti dell'APT, possiamo purtroppo dire  che le istituzioni  ci danno ben 
poche speranze.
Infine, il collezionismo. A Genova c'è stata  storicamente una buona tradizione di 
collezionismo da Dalla Ragione (collezione finita a Firenze) a Tarello (trattativa con la 
Cassa di Risparmio  non andata a buon fine) e ancora oggi non sono  pochi i collezionisti 
privati, peraltro - in linea col DNA della città - molto "segreti" e poco aperti 
all'esterno.
La scarsezza di gallerie  di rilievo  culturale (due o tre ormai, non di più) e quei 
fattori di  riservatezza cui ho testè accennato, fanno sì che  i maggiori collezionisti  
si rivolgano altrove, a Milano e soprattutto  a Londra (o alle aste e fiere 
internazionali) spesso influenzati  da una "finanza  dell'arte" sempre più aggressiva (è 
sintomatico che sul maggiore quotidiano economico  italiano una parte del giornale  sia 
mensilmente dedicata al mercato dell'arte con relativi grafici sull'andamento  delle 
"azioni" dei singoli artisti).
Resta, è vero, un numero limitatissimo di collezionisti, che sono  vicini a quelle poche 
gallerie  presenti in città ma che,  data  l'esiguità delle stesse  e delle correlative 
proposte, sono costretti a rivolgersi anch'essi, almeno  in parte, ad altri mercati e in 
particolare alle fiere dell'arte.
Il peso culturale  del collezionismo in genere è quindi relativamente modesto per le 
ragioni anzidette.
Osservo che  forse vi sono collezionisti  che vorrebbero destinare le loro collezioni  o 
parte di esse alla città.
Ma se non  ci sono strutture che diano le dovute garanzie, anche questa possibilità 
sfuma, com'è già sfumata per il passato.
Forse  i nostri  imprenditori ed amministratori, nelle loro frequenti visite alle città 
"gemelle" come Barcellona, Siviglia, Valencia, Nizza etc. dovrebbero guardare anche  alle 
politiche per l'arte contemporanea di tali città, di cui, sotto tale profilo, Genova non 
può dirsi non dico gemella, ma neppure lontana parente.