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novembre 2012 - novembre 2013



Mostre e Recensioni



-  Beppe Dellepiane:
    Ombra e sogno
    sono il peso della luce


-  Gianni Brunetti:
    Figure - Sequenze


-  Giuliano Galletta
    Non voglio essere
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-  Marina Carboni:
    Paesaggi di Liguria


-  Lorenzo Penco:
    Un catalogo di cose perdute
    per un mondo possibile


-  Il Deposito 1963-2013
    L'avanguardia in riva al mare


-   Il lavoro dell'artista:
    Un percorso genovese


-   Michele Allegretti:
    Nebula


-   La visione fluttuante #2

-   Espoarte: intervista su
    La visione fluttuante #2


-  Gruppo 63
    Tessere per un mosaico


-  Rileggere il Marcatré

-  Piero Simondo:
    i monotipi 1954-1958



Ricordi



-  Gian Lupo Osti

-  Omaggio ad Aurelio Caminati

-  Franco Sborgi



 

LA VISIONE FLUTTUANTE #2


(UnimediaModern - ottobre/novembre 2013)



All’altezza del 1975, quando l’Unimedia allestisce - nell’ambito di una rassegna che indaga alcune fra le principali tendenze artistiche in atto - “La visione fluttuante”, la galassia di esperienze che si raccoglie alternativamente sotto le etichette della ‘scrittura visuale’ o della ‘poesia visiva’, è al suo apogeo. Nel biennio precedente, le mostre curate da Luigi Ballerini al Finch College di New York (“Italian Visual Poetry 1912-1972”) e alla Galleria d’Arte Moderna di Torino (“Scrittura visuale in Italia 1912-1972”), ne avevano segnato una organica sistemazione storico-critica, collegando le nuove esperienze alle intuizioni futuriste d’inizio ‘900, mentre gli autori contemporanei ivi raccolti avevano ormai raggiunto una piena maturità espressiva.
Le indicazioni di Martino Oberto per “La visione fluttuante” sembrano riflettere la stretta collaborazione dell’artista con Ballerini nell’esposizione torinese, con l’eccezione rilevante del gruppo dei musicisti (Bussotti, Castaldi, Chiari, Marchetti), di Gastone Novelli, il cui lavoro si inscrive in una cornice più schiettamente pittorica, e alcune altre dovute forse a ragioni contingenti.
Vi si trovano accostati i nuclei storici degli anaisti e dei ‘simbiotici’ genovesi, dei fiorentini ‘tecnologici’ e dei napoletani di Linea Sud e Continuum, con altre significative figure del panorama nazionale.
Al di là delle singole presenze, che lo spazio non consente di analizzare, è interessante notare la misurata, ma netta, presa di distanza dalle ricerche documentate in rassegna che Edoardo Sanguineti palesa nel testo di presentazione, nel quale il poeta appare turbato in particolare dall’etichetta ‘poetica’ che la più affermata fra le denominazioni correnti attribuisce ai lavori esposti.
Non si tratta però di una semplice avversione nominalistica; nella sostanza Sanguineti scorge nell’acquisto della dimensione visiva un “depauperamento del sonoro” e la “crisi dei generi”, che segnala, viene interpretata come “l'indizio di una crisi sociologica di base nei ruoli operativi, dinanzi allo sviluppo delle nuove forme comunicative, tecniche e industriali” anziché come la scoperta del nuovo alfabeto della poesia di cui parlava invece Ballerini.
Gli sviluppi successivi hanno, nei fatti, confermato la prospettiva sanguinetiana, consegnando, nonostante l’ampia frangia di oralità e performatività esercitata da buona parte degli autori, la circolazione della creazione in quest’ambito al circuito delle arti visive, dove ha trovato sponda e diramazioni in taluni settori dell’arte concettuale e, più recentemente, nella net-art.
Riprendere, a distanza di quasi trent’anni, la stessa formula espositiva, pur nella diversità delle opere presentate, porta inevitabilmente a riconsiderare i termini della divergenza fra la tesi di Sanguineti che osservava il fenomeno come un “terzo escluso” fra letteratura e pittura, e l’idea opposta di chi – come Vincenzo Accame – vi intravedeva il possibile avvento di una pratica in cui “segni grafici, suoni, forme, colori, parole ecc. non saranno più nulla di tutto ciò, ma si saranno fusi in un unico gesto”, portando a termine un percorso di trasmutazione strutturale della pratica poetica iniziato con la rimbaldiana alchimie du verbe e passato attraverso il crogiolo sperimentale delle avanguardie storiche.
La questione ancor oggi non può dirsi decisa: sebbene i linguaggi intermediali siano ormai consolidati al punto da esser ritenuti i soli confacenti all’epoca che attraversiamo, l’iscrizione d’immagine, segno, gesto e parola in un ordine linguistico unitario sembra rappresentare ancora un orizzonte utopico.
Nondimeno, i lavori raccolti all’Unimedia Modern in questa occasione ci rendono una volta di più consapevoli che se “la scrittura alfabetica è in sé e per sé la più intelligente”, come Hegel scriveva nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche, non è sicuramente la più ricca.

Sandro Ricaldone