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12 giugno - 31 dicembre 2011



mostre e artisti
a Genova
2010 - 2011



-  Flavio Costantini
    al Museo Luzzati


-  Cambiare il mondo
    con un vaso di fiori


-  Giuliano Galletta
    Il museo del caos


-  Florence Henri
    all'Hotel des Arts di Tolone


-  Mediterraneo
    da Courbet a Matisse


-  Rolando Mignani
    tra segno e simbolo


-  Jeune Création Européenne
    a Genova


-  Mario Rocca
    da Cristina Busi


-  Arte da Taiwan

-  La Biennale decentrata
    di Vittorio Sgarbi


-  Angelo Gualco
    Portrait of the artist
    as Mickey Mouse


-  Selim Abdullah
    Come andar per mare
    pieno di pesci


-  Quella foresta metaforica
    nell'arte di Colombara


-  Ghiglione autobiografico

-  Riccarda Montenero
    Libre Circulation


-  L'arte di Caviglia
    dagli anni '70


-  Anna Ramenghi
    Stanze di Eros


-  Maria Rebecca Ballestra
    cabiando prospettive


-  Pino Rando
    La nave dei giganti


-  Laura Mascardi
    Il mare di tutte le stagioni




 

LUCIANO CAVIGLIA
L'ambiente, l'uomo, l'artista

Museo di Sant'Agostino
dal 14 maggio al 12 giugno 2011


Sono trent’anni di ricerca, di una pittura ostina-tamente praticata sul confine tra rinnovate figurazioni e sbocchi metamorfici, che ci vengono incontro nei quadri di Luciano Caviglia disseminati negli ambienti del Museo di Sant’Agostino, fra la statua di Simon Boccanegra e il monumento a Margerita di Brabante di Giovanni Pisano. Ma, loro tramite – al di là dei rovelli e del fervore formale da cui sono percorsi – è la condizione umana nella contemporaneità che si pone di fronte al visitato-re, nella sua realtà tormentata e complessa.
La pregnanza dei temi affrontati, unita ad una strumentazione visuale calibrata sulle sperimentazioni novecentesche, consente a Caviglia di costruire immagini emblematiche del processo degenerativo che il dominio della tecnica e gli abusi sull’ambiente esercitano nel mondo attuale.
Compaiono così dapprima, nella seconda metà degli anni ’70, gli inquietanti personaggi “disumanizzati” i cui volti si scompongono in sottili strisce ritorte, simili a bendaggi che si districano rivelando grigiore e vuoto mentre i corpi, scomposti, vengono innestati di componenti meccaniche. A questi “uomini-macchina”, alienati dal lavoro (ma forse più da modalità di pensiero) standardizzato si alternano gli “uomini-ambiente”, che inglobano nella propria conformazione paesaggi scabri e riarsi, prefigurazione della “terra desolata” che ci attende, dove – come scriveva Eliot – le “macerie di pietra” impediscono ai rami di crescere.
Gradualmente a questa poetica esplicita, radicata in una tensione che inquadra il dato esistenziale in una definita cornice storica, si sostituisce una prospettiva incentrata sull’interiorità, ove l’investigazione del reale è trasposta su un piano più ampio e, si direbbe, allegorico.
È ciò che accade con il ciclo delle “Metamorfosi” dove la figura umana si disgrega in elementi sempre meno identificabili, disposti lungo un asse verticale e percorsi da una luminosità che ne mette in risalto l’evanescenza.
Si può leggere in questo processo, che attraverso la spoliazione dei tratti più marcatamente riconoscibili approda ad un’essenzialità incorporea, una corrispondenza con la “scomparsa del soggetto” indagata dalla filosofia contemporanea, in particolare con la “derealizzazione” dell’esperienza derivante dall’impiego delle nuove tecnologie descritta da Paul Virilio nella sua “Estetica della sparizione” (1980).
Questa svolta nell’arte di Caviglia trova conferma nel successivo ciclo delle “Dissolvenze” che ci porta al decennio appena trascorso: qui la figura è ormai evocata per semplici frammenti, carichi però di quella allusività che mantiene una capacità di relazione profonda con l’orizzonte umano.
Un’attitudine che, come afferma un altro filosofo francese, Gilles Deleuze, riconosce “in ogni evento l’infelicità, ma anche un bagliore che la prosciuga e ci fa diventare degni di ciò che accade”.

[Sandro Ricaldone, 12/6/2011]