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LA CALATA DEI SITUAZIONISTI A COSIO
(Alfadomenica di Alfabeta2 - 27 luglio 2014)



Ai confini tra Liguria e Piemonte, in un territorio a lungo conteso fra Genova e i Savoia, Cosio d’Arroscia sembrerebbe il teatro meno indicato per un evento dai riflessi planetari come la fondazione dell’Internazionale Situazionista, che vi ebbe luogo il 28 luglio 1957. A turbare la routine agricola e artigianale questo antico borgo, cui l’intreccio dei caratteristici caruggi conferisce un aspetto labirintico, proiettandolo per una settimana in una dimensione cosmopolita, venne in quell’estate un’esigua ma sensazionale pattuglia di artisti provenienti dalla Francia, dall’Inghilterra e dalla Danimarca, oltre che dal vicino Piemonte.
Erano Guy Debord e Michèle Bernstein, Ralph Rumney e Pegeen Guggenheim, Asger Jorn, Pinot Gallizio e Walter Olmo, approdati a Cosio per un soggiorno - che prese poi il nome di Conferenza - nella casa di famiglia di Piero Simondo, dove questi si era trasferito dopo il matrimonio con Elena Verrone.
In un clima bizzarro e festoso, ampiamente innaffiato dal dolcetto locale, ribattezzato da Debord “cosiate”, con il sottofondo musicale dei Platters e di Vivaldi, fu discussa e approvata la proposta di scioglimento dei gruppi preesistenti e la loro confluenza nella nuova organizzazione.
Se raggiungere Cosio a quell’epoca non era agevole, come attestano la corrispondenza di Debord e lo sconclusionato telegramma di Rumney (“Non arrivo più ieri, allora oggi stessa ora”), benché la carrozzabile napoleonica da Oneglia a Mondovì avesse da più di un secolo soppiantato i tracciati impervi delle antiche vie del sale, ben più complicate erano le strade, artistiche e intellettuali, che avevano condotto i membri del Movimento Internazionale per una Bauhaus immaginista, dell’Internationale lettriste e del fantomatico London Psychogeographical Committee a convergere in quel luogo e a condividere quella scelta, peraltro non unanime.
Asger Jorn proveniva dall’esperienza esaltante ma contrastata di Cobra, che aveva riunito dal ’48 al ’51, gli artisti dei gruppi sperimentali danesi e olandesi alla frazione dei Surréalisme-Révolutionnaire belga capeggiata da Christian Dotremont, propugnando un’espressione libera, frutto di un “automatismo fisico” d’impronta surrealista e di una marcata attenzione alla cultura popolare.
In seguito, ripresosi da una grave malattia polmonare, aveva fondato, nel 1953, il Movimento Internazionale per una Bauhaus Immaginista, idealmente contrapposto alla Hochschule für Gestaltung diretta da Max Bill, che, a suo avviso, tradiva l’eredità del Bauhaus di Weimar e Dessau, che contava fra i suoi docenti Klee e Kandinsky, per concentrarsi sul design industriale.
In questo nuovo percorso, avviato con l’Incontro Internazionale della Ceramica tenuto ad Albisola nel giugno del 1954, con la partecipazione, fra gli altri di Appel, Baj, Dangelo, Fontana, e Scanavino, si era poi inserita la verve di Pinot Gallizio e la riflessione metodologica di Piero Simondo, con i quali aveva dato vita al Laboratorio Sperimentale di Alba, ideale palestra per la ricerca condivisa di nuove forme, e organizzato, nel settembre 1956, il Primo Congresso mondiale degli Artisti liberi, sul tema “Le arti libere e le attività industriali”.
In questa sede ebbe luogo il ralliement con l’Internationale lettriste di Guy Debord e Gil J. Wolman, nata quattro anni prima da una scissione del movimento lettrista fondato a Parigi nel 1945 da Isidore Isou, il poeta romeno che proseguendo la decostruzione della forma lirica avviata da Rimbaud e Mallarmé, aveva individuato nella lettera il materiale primario dell’espressione verbale, musicale e plastica.
A propiziarlo era la comune presa di posizione contro il funzionalismo architettonico, cui Jorn imputava di ignorare la prospettiva di un’integrazione con la pittura e la scultura, escludendo gli artisti visivi da uno spazio che avrebbero dovuto condividere, mentre Debord e compagni – sulla scorta del “Formulaire pour un urbanisme nouveau” redatto nel 1952 da Ivan Chtcheglov (alias Gilles Ivain) – lo ritenevano responsabile di una massificazione utilitaria avversa alle istanze di una quotidianità liberata e di un ambiente capace di suscitare nuove passioni.
Una tematica, questa, congeniale anche a Ralph Rumney, artista espatriato dall’Inghilterra per le vicende giudiziarie seguite al suo rifiuto di prestare il servizio militare, che aveva contestato, in dibattiti nella sede dell’I.C.A., l’International Center of Arts di Londra, i progetti di Colin Buchanan per lo sviluppo della rete stradale metropolitana e i piani di ricostruzione della città, devastata dai bombardamenti della Luftwaffe, basati sul gigantismo brutalista. Nelle sue peregrinazioni fra Italia e Francia Rumney era entrato in contatto sia con i membri dell’Internationale lettriste, interessandosi in particolare al versante psicogeografico delle loro ricerche, sia con Jorn, che gli era stato presentato da Enrico Baj a Milano.
A supporto della proposta di confluire in un’organizzazione unitaria, Guy Debord aveva predisposto un documento ampio ed articolato, il Rapport sur la construction des situations et sur les conditions de l'organisation et de l'action de la tendance situationniste, stampato in giugno a Parigi. Sebbene presentato a Cosio, non fu – secondo la testimonianza di Simondo – discusso in quella sede, benché in seguito Debord lo abbia qualificato come “l’expression théorique adoptée à la conference de fondation de l’Internationale situationniste”. Approvato allora o meno, il Rapport resta indiscutibilmente la carta costitutiva dell’I.S.. Il titolo è, in certa misura, ingannevole: in realtà lo spazio dedicato alla “costruzione delle situazioni” è non è più esteso di quello riservato alle altre “condizioni dell’organizzazione e dell’azione dell’Internazionale situazionista”. Ma il tema della situazione affascinava Debord dal tempo in cui stava realizzando il suo primo (e più radicale) film: Hurlements en faveur de Sade, realizzato nel 1952. La conclusione del testo teorico premesso alla sceneggiatura, Prolegomenes à tout cinéma futur recitava infatti, parafrasando la frase di Breton “La beauté sera convulsive ou sera pas”: “Les arts futurs seront des bouleversements de situations, ou rien”. L’anno successivo Debord riprendeva l’argomento in un manifesto incompiuto intitolato Manifeste pour une construction de situations, che già preannunciava la struttura del Rapport, nel quale sanciva la morte dell’estetica e l’avanzare di un’arte incentrata su “ricerche per un’azione diretta sulla vita quotidiana” e su un metodo ancora non scritto per “dedurre le leggi, vagamente presentite, delle sole costruzioni che in definitiva ci interessano: situazioni capaci di sconvolgere tutti gli istanti”.
Il tono del Rapport, che si apre sulla lapidaria affermazione: “Per prima cosa noi pensiamo che bisogna cambiare il mondo” - una frase in cui in filigrana traspare, ancora, una citazione di Breton, “«Transformer le monde», a dit Marx ; «Changer la vie», a dit Rimbaud : ces deux mots d’ordre pour nous n’en font qu’un" – è liquidatorio nei confronti delle avanguardie storiche: del Futurismo, accreditato di molte innovazioni formali ma imputato di appiattirsi una nozione schematica di progresso macchinistico; del Dadaismo, costretto nella rete di una negazione necessaria ma inconcludente; del Surrealismo, arenatosi – dopo aver dato voce ai “desideri della sua epoca” – nella ripetizione degli epigoni.
Ed è non meno severo verso le tendenze contemporanee: l’esistenzialismo, che dissimula il niente sotto un linguaggio filosofico d’accatto e si concede alle lusinghe della moda, o il Lettrismo, che pur essendo partito da “un’opposizione completa a tutti i movimenti estetici conosciuti … ha preso un nuovo inizio in un quadro generale simile a quello antecedente”.
Il rigore non risparmia Cobra, movimento che pur avendo compreso la complessità delle problematiche attuali è naufragato per “mancanza di rigore ideologico e per l’aspetto eminentemente plastico delle sue ricerche” (come non leggere qui, nel secondo aspetto, la prefigurazione della successiva emarginazione non solo degli “italo-sperimentali” Simondo, Verrone e Olmo, ma di Gallizio, del Gruppo Spur e dello stesso Jorn?).
Lo stesso Bauhaus Immaginista è citato, con una sorta di degnazione, soltanto come portatore di un’istanza antifunzionalista, mentre la piattaforma proposta all’azione comune riporta in primo piano l’intero armamentario delle tecniche elaborate dall’Internationale lettriste. La dèrive, “pratica di spaesamento passionale mediante il cambiamento improvviso di ambienti e strumento di studio della psicogeografia e della psicologia situazionista”; il détournement, alterazione del senso di frasi, immagini e oggetti attraverso l’inserimento in un diverso contesto; l’urbanisme unitaire, cui già si è accennato.
Senza dimenticare, appunto, la costruzione di situazioni, “ambienti collettivi, insiemi d’impressioni che determinano la qualità di un momento”. Situazioni che per essere agite direttamente costituiscono la negazione della configurazione moderna dello “spettacolo” - un termine, destinato a divenire centrale nella riflessione di Debord, qui introdotto nella sua prima elaborazione, come principio di condizionamento unidirezionale – e che rimangono momenti provvisori, “di passaggio”, perché l’idea di un’arte immutabile “è la più grossolana che un uomo possa concepire a proposito dei propri atti”.
Ma la novità più ricca di futuro del Rapport, non sta forse in questo (d’altronde il programma di realizzazione di situazioni non risulta abbia trovato riscontri più che episodici), quanto piuttosto nella cornice di analisi sociale e politica che Debord disegna attorno alle ipotesi d’azione dell’Internazionale situazionista: lo scenario di una società che non ha saputo comprendere le trasformazioni epocali in atto e che (non molto diversamente da oggi) rimane costretta in logiche superate anziché affrontare il nodo di una rivoluzione necessaria.

Sandro Ricaldone