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settembre 2014 - ottobre 2015



Mostre e Recensioni



-  Lo spazio altro
    del libro d'artista


-  Stefano Grondona
    L'eccentrica visione


-  Claudio Costa e i musei

-  Ger Lataster
    alla Galleria Peccolo


-  Domenica Laurenzana:
    Tra il segno evidente
    e il segno nascosto


-  Omaggio a Cervantes

-  Adriano Accattino:
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-  Outsiders: tre artisti
    fuori dagli schemi


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    il corpo come reperto


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    "Carta santa"


-  Beppe Dellepiane:
    Pagine da "Carta santa"
    e altri lavori


-   Enrico Morovich:
    le stranezze del Ragioniere


-   Atelier San Marcellino
    Creatività e partecipazione


-   Giuliano Galletta
    Roman reussi e altre carte




 

DOMENICA LAURENZANA


TRA IL SEGNO EVIDENTE E IL SEGNO NASCOSTO
(Satura, Genova, 17-28/1/2015)



La pittura comincia dall’atto del dipingere e non da un’idea della pittura. Fare credito alle forze subcoscienti di cui l’uomo è il luogo. Tentativo: dare vita al colore, spersonalizzare la forma.
Jean Degottex

Intrapreso sotto il segno di una accentuata emotività luministica, che – se pure in termini di matura astrazione – si mostrava contiguo ad una sorta di naturalismo atmosferico, il percorso di Domenica Laurenzana è venuto evolvendo, nell’arco di un ventennio, verso problematiche che attengono all’ordine combinato della monocromia e del segno.
Alle tele del primo periodo, pulsanti nell’alternarsi di corpose velature impresse a mano e di sfumati intangibili, nel concatenarsi di mutevoli tonalità di colore, si sono avvicendate dapprima campiture più dense, prossime ad una monocromia appena scalfita da larvali resistenze verso un clima di purezza quintessenziale, e - sul finire dello scorso decennio - prove di affrancazione del segno, spiegato in movimenti circonvoluti, in bianco e nero, contraddistinti da una marcata spontaneità.
In questi lavori - alcuni dei quali, di fattura recentissima, sono presenti nella mostra allestita negli spazi di Satura – l’accostamento, o per meglio dire, la fusione di ritmo e caos induce a evocare l’“ornamento esploso” dove fluisce “più impetuoso il fiume del nostro creare”, di cui parla Ernst Bloch nello Spirito dell’Utopia.
Arabeschi sui generis, labirinti costruiti su un dinamismo vorticoso, in un coinvolgimento fisico immediato e totale, queste tele sono teatro di un’apoteosi del segno. In apparente antitesi, al loro impeto gestuale si sovrappone, in un altro gruppo di opere coeve, la quinta del colore, blu, rosso, giallo, che si stende in superficie a coprire l’esuberanza dei gesti, di cui l’occhio può cogliere soltanto le ombre.
Dal furore sinuoso della scia alla quiete silente del monocromo, si potrebbe congetturare. Ma si tratta di una quiete che internamente ribolle, che sotterraneamente si muove, che si regge su una rete di gangli in tensione.
E infine, nell’ultimo dipinto di questo nuovo ciclo, il versante dinamico del segno e l’uniformità del colore si congiungono, assorbendosi reciprocamente, in un arazzo mobile, animato da un pulsare attutito e cangiante, in un discorso fitto, continuo, della pittura nella pittura.
Il tragitto dai “miraggi dall’aspetto caotico” (secondo la felice espressione di un antico maestro, Waldemar George) si attesta così, oggi, ad un nuovo livello della spirale creativa, all’altezza dell’instabile vibrazione che si applica a trascrivere la “folla di cose” che è materia della vita.

Sandro Ricaldone